Castelnuovo di Napoli, 12 luglio 1465: una congiura porta alla morte violenta di un condottiero. È l’esito sanguinoso di un complotto abilmente pianificato, culmine di uno scontro che per decenni ha visto fronteggiarsi due capitani di ventura: suocero contro genero, duca contro generale. Soprattutto, una lotta fra due modi opposti di concepire e gestire la politica, la guerra e il potere nell’Italia del XV secolo.
Ha raccontato questa trama Napoli 1465: la vendetta del condottiero: lo spettacolo che nel 2019 e nel 2023 ha proposto al pubblico la cospirazione ordita dal duca di Milano e signore di Genova Francesco Sforza Visconti e dal re di Napoli Ferdinando I d’Aragona contro il condottiero Jacopo Piccinino.
La formula scelta per l’evento è quella della narrazione storica presentata in forma dinamica, lungo un percorso guidato a tappe.
A Davide Tansini è spettato il cómpito di rievocare questa vicenda del Quattrocento italiano, fatta di guerre, denaro, politica e tradimenti.
Sospeso fra documentario e spy story, il racconto non si è limitato alla descrizione déi fatti o déi dettaglî cronachistici. Invece, è diventato l’occasione per un discorso articolato su un periodo storico e sull’eredità che ha lasciato: società, economia, usi, arti, tradizioni, curiosità.
Sono comparse le vicende politiche, con il loro immancabile susseguirsi di speranze e delusioni; le personalità più in vista dell’epoca (veri e proprî VIP fra Medioevo e Rinascimento); le questioni più sentite e discusse (come le tasse – tema sempre di attualità) e i timori per un futuro incerto. Difficile non ritrovare anche nell’odierna vita quotidiana punti di contatto con questo passato soltanto in apparenza lontano.
Ispirato al teatro di narrazione, lo spettacolo Napoli 1465: la vendetta del condottiero è stato uno spunto per conoscere e rivivere la storia.
Lo scenario storico in cui si sviluppa la trama di Napoli 1465: la vendetta del condottiero è il periodo seguìto alla stipula della Pace di Lodi e della Santissima Lega Italica (1454).
La firma déi due trattàti ha concluso (anche se non esaurito) oltre un trentennio di crisi e conflitti combattuti in Italia fra diversi stati: il Ducato di Milano, la Repubblica di Venezia, il Regno di Napoli, la Repubblica Fiorentina, gli Stati della Chiesa, la Repubblica di Genova, il Ducato di Savoia.
Fra i protagonisti della congiura napoletana figura Francesco Sforza Visconti, ispiratore e artefice della Pace di Lodi e della Lega Italica insieme a Cosimo de’ Medici. Figlio illegittimo del condottiero romagnolo Muzio Attendolo e capitàno egli stesso, grazie a un’abile carriera è riuscito a diventare signore di Cremona (1441), di Pavia (1447), di Novara, di Alessandria e di Tortona (1449), duca di Milano (1450) e signore di Genova (1464).
Un’impresa lunga e avventurosa, quella di Francesco: fatta di battaglie, campagne militari e trattative diplomatiche. Fra i tanti nemici incontrati sul proprio cammino, in particolare, il venturiero sforzesco ha dovuto affrontare una stirpe di mercenarî a lui ferocemente avversa: i Piccinino, originarî dell’Umbria e appartenenti al gruppo déi bracceschi.
Per anni le due fazioni si sono fronteggiàti sia sui campi di battaglia sia nelle corti italiane. Soprattutto, quella del sovrano milanese Filippo Maria Visconti: i Piccinino sono stati al suo servizio fin dagli Anni Venti del Quattrocento, mentre nel 1441 la figlia del duca lombardo, Bianca Maria Visconti, ha sposato lo Francesco Sforza Visconti.
Lo stesso condottiero sforzesco si è imparentato con i rivali umbri. Dopo la morte di Filippo Maria, ha stretto una momentanea alleanza con Jacopo e la sua compagnia di ventura durante la campagna per la conquista di Milano (1449).
Per rafforzare il patto, gli ha concesso il fidanzamento di una figlia, Drusiana. Tuttavia, qualche settimana più tardi Jacopo ha rotto improvvisamente il patto, lasciando la situazione di Drusiana in sospeso.
Quindici anni dopo questi fatti la condizione della figlia non è l’unico déi problemi per Francesco Sforza Visconti, insignoritosi di Milano e di Genova.
Afflitto dalla gotta e dagli edemi, il duca ha visto le proprie condizioni di salute deteriorarsi sempre più: cosa che contribuisce a minare il suo prestigio e la stabilità del suo dominio.
Quanto più il duca deperisce, tanto più diventano attivi i suoi oppositori. Molti agiscono néi territorî a lui soggetti e guardano proprio a Jacopo Piccinino come a un leader in grado di scalzare Francesco Sforza Visconti e il suo sistema di potere.
Il venturiero braccesco è un capo senza stato ma con molti seguaci e con un nutrito esercito personale; Francesco è invece un sovrano che non soltanto deve preservare il proprio dominio ma anche conservare l’equilibrio fra gli stati della Penisola.
Jacopo diventa una minaccia da eliminare. In questa determinazione Francesco trova un alleato nel re di Napoli Ferdinando I d’Aragona.
Dopo essere stato al servizio del monarca aragonese negli Anni Cinquanta, dal 1460 Jacopo comanda le truppe della prima Congiura dei Baroni: nobili del Sud Italia sostenitori del duca di Lorena Giovanni d’Angiò, che contende la corona napoletana a Ferdinando.
Nel 1462 una dura sconfitta in battaglia costringe il condottiero braccesco a trovare una formale riconciliazione con il duca di Milano e con il re di Napoli. Jacopo rientra in Lombardia può finalmente unirsi in matrimonio con Drusiana. Il destino dello sposo è però segnato.
Grazie all’opera del suo più abile e fidato consigliere, Cicco Simonetta, il sovrano milanese ordisce una congiura in combutta con il monarca napoletano: un piano studiato accuratamente, di cui rimangono pochissime tracce documentali.
La trappola scatta il 24 giugno 1465. Dopo essere stato accolto nel capoluogo partenopeo con apparente benevolenza, quel giorno Jacopo è catturato e incarcerato nel Castel Nuovo di Napoli su ordine di Ferdinando.
Il monarca aragonese fa spargere la falsa voce che il venturiero sia deceduto per cause accidentali. Jacopo muore invece il 12 luglio successivo, probabilmente dopo essere stato torturato.
Due settimane più tardi Drusiana partorisce il figlio che aspetta dal marito, Giacomo. Pur protetto dalla duchessa Bianca Maria, il bambino non è benvoluto alla corte milanese: emblema vivente dell’irriducibile rivalità tra Sforza e Piccinino.
Nell’Italia del periodo compreso tra la fine del XIV e la prima metà del XV secolo l’utilizzo sempre più massiccio di compagnie mercenarie sui campi di battaglia porta alla costituzione di numerosi gruppi militari al servizio déi varî committenti disposti a offrire loro ingaggî.
Pur avendo come precedente comune la Compagnia di San Giorgio fondata nel 1377 dal ravennate Alberico da Barbiano (1349-1409), la formazione, le esperienze e i metodi adottàti da ciascuna milizia presentano sensibili diversità.
Così, possono distinguersi fra gli altri i bracceschi: un gruppo di combattenti variamente aggregatisi néi primi anni del Quattrocento a séguito delle condotte militari del perugino Andrea Fortebracci (detto Braccio da Montone, 1368-1424).
Ai bracceschi si contrappongono gli sforzeschi, riferiti lato sensu alla compagnia di ventura e agli alleati del ravennate Muzio Attendolo (detto Sforza, 1369-1424) e, dopo la sua morte, del figlio illegittimo Francesco (1401-1466).
Francesco ha iniziato molto giovane la propria carriera militare e politica. Le vicende belliche e diplomatiche lo fanno entrare in contatto con diverse corti italiane: Milano, Ferrara, Roma e Napoli.
L’ascesa del venturiero sforzesco è piuttosto brillante ma non esente da ostacoli e inciampi. A cominciare dalla dura opposizione di una tra le famiglie braccesche più ostili agli Sforza: i Piccinino, originarî di Perugia.
Tre esponenti del clan umbro, in particolare: Niccolò (1386-1444) e i suoi figlî Francesco (1407-1449) e Jacopo (1423-1465).
Dagli Anni Venti del XV secolo i Piccinino operano pressoché stabilmente per il duca di Milano Filippo Maria Visconti (1392-1447). Oltre a pagare i cospicui stipendî pattuiti per le condotte, il sovrano compensa i loro servigî investendoli ripetutamente di numerose terre site fra le odierne regioni Emilia-Romagna, Liguria, Lombardia e Piemonte (per esempio le attuali Arquata Scrivia, Borgo Val di Taro, Borgonovo Val Tidone, Castell’Arquato, Castelletto d’Orba, Compiano, Pietramogolana di Berceto, Ripalta di Borghetto di Vara e Varese Ligure).
Dagli Anni Trenta del XV secolo i Piccinino (con Niccolò allora capofamiglia) fanno propria l’irriducibile avversità tra bracceschi e sforzeschi, nata dai livori tra Muzio Attendolo e Braccio da Montone. Tale identificazione è così forte da farli diventare i capi e gli emblemi dell’opposizione a Francesco Sforza e alla sua scalata al potere.
L’odio verso il figlio di Muzio non li esenta dal militare talvolta sotto le stesse bandiere. Per esempio, fra il 1425 e il 1427 e ancóra nel 1432, al servizio di Filippo Maria Visconti contro la Repubblica di Firenze e quella di Venezia.
Giocando una lunga, complicata e turbolenta partita militare e diplomatica con il duca milanese (fatta di reciproche promesse, ripensamenti, riconciliazioni, tradimenti e voltafaccia), il 23 febbraio 1432 Francesco Sforza riesce a farsi concedere il fidanzamento con la figlia legittimata del sovrano lombardo, Bianca Maria (1425-1468).
Il 25 ottobre 1441 il condottiero sforzesco la sposa. Il matrimonio gli frutta una cospicua dote: i territorî di Cremona e Pontremoli, nonché un buon piazzamento per la successione al trono di Milano (Filippo Maria non ha eredi maschi e Bianca Maria non può diventare sovrana).
Ciò si aggiunge al prestigioso privilegio di potersi fregiare del cognome Visconti, concessogli dal duca.
Anche Niccolò Piccinino è stato fra i possibili pretendenti alla mano di Bianca Maria. Affiliato già dal 1437 alla domus viscontea, per non veder sminuito il proprio prestigio al confronto con quello di Francesco Sforza, ha richiesto al sovrano milanese l’infeudazione di Piacenza.
Il rifiuto di Filippo Maria sulla questione piacentina e il matrimonio di Bianca Maria con il rivale sforzesco portano il condottiero umbro a perseguire sempre più l’arricchimento e l’espansione del potere personale, anche a svantaggio degli interessi ducali.
Nello stesso 1441 Niccolò monta un’accusa di tradimento contro il marchese Rolando Pallavicino (detto il Magnifico (1393?-1459), feudatario del sovrano milanese e alleato di Francesco Sforza.
Contro di lui il capitàno braccesco ottiene l’autorizzazione a condurre una campagna militare: nel biennio 1441-1442 Niccolò acquisisce al proprio controllo diretto gran parte del cosiddetto Stato Pallavicino, fra Parma e Piacenza (per esempio le odierne terre di Banzola, Bargone, Gallinella e Tabiano Terme di Salsomaggiore Terme, Borghetto e Costamezzana di Noceto, Felegara e Sant’Andrea Bagni di Medesano, Fiorenzuola d’Arda, Pellegrino Parmense, Solignano e Specchio di Solignano, Varano de’ Melegari e Vianino di Varano de’ Melegari, Varano dei Marchesi di Medesano).
Il duca legittima con l’investitura feudale le conquiste del capitàno braccesco (maggio 1442) e gli assegna anche altri dominî tenuti in precedenza dai casati Dal Verme e Landi, come Albareto e Pianello Val Tidone (poi riassegnata agli stessi Dal Verme).
Nel frattempo (aprile 1442) il capofamiglia déi Piccinino è passato al servizio del papa Eugenio IV (al secolo Gabriele Condulmer, 1383-1447) ed è stato nominato gonfaloniere della Chiesa. Inizia una serie di campagne militari fra Romagna, Umbria e Marche: anche qui, i nemici principali sono Francesco Sforza Visconti e i suoi alleàti.
Nonostante il buon esito delle sue operazioni militari (che mettono in difficoltà la fazione avversaria), nel luglio 1444 le abili manovre politiche del capo sforzesco fanno sì che il pontefice intervenga presso Filippo Maria Visconti per richiamare Niccolò a Milano.
Il leader braccesco apprende nel capoluogo lombardo che suo figlio Francesco, cui ha affidato il comando della compagnia di famiglia, è stato sconfitto e catturato proprio da Francesco Sforza Visconti nella battaglia di Montolmo (oggi Corridonia, 19 agosto 1444). Ormai malato, Niccolò muore il 15 ottobre dello stesso anno.
Filippo Maria Visconti paga al genero il riscatto per la liberazione del nuovo capofamiglia déi Piccinino, che nel 1445 ritorna al servizio del Ducato milanese.
La parentela con il casato della Vipera è molto utile a Francesco Sforza Visconti dopo la morte del duca (13 agosto 1447). Difficoltà déi generi più disparàti e ripetuti capovolgimenti di alleanze non impediscono al condottiero di affrontare con successo la Repubblica Ambrosiana (succeduta a Filippo Maria nel dominio sul ducato lombardo), quella veneziana e il Ducato di Savoia, riuscendo infine a impadronirsi di Milano (1450).
Il condottiero sforzesco se ne proclama duca anche in virtù della parentela con Filippo Maria, di cui vuole essere considerato a tutti gli effetti legittimo successore.
Le sue aspirazioni debbono però fare i conti con numerosi problemi: per esempio, la cronica mancanza di fondi; i disagî déi territorî ducali, provàti da un trentennio di guerre; la prosecuzione del conflitto contro la Repubblica di Venezia; l’opposizione più o meno evidente di alcune famiglie lombarde, insofferenti verso il nuovo sovrano e il suo entourage.
Molti suoi nemici (sia interni sia esterni allo stato milanese) guardano proprio ai Piccinino come una delle forze in grado di abbattere il duca sforzesco: in particolare a Jacopo, rimasto a capo della famiglia dopo la morte del fratello Francesco (16 ottobre 1449).
Anche durante la campagna per la conquista di Milano Francesco Sforza Visconti ha avuto numerosi incontri-scontri con i Piccinino: prima combattendo al loro fianco per la Repubblica Ambrosiana (1447-1448), poi contro il regime milanese e i condottieri bracceschi (1448-1449), di nuovo insieme contro la Repubblica (1449) e infine contro entrambi (1449-1450).
I venturieri umbri sono stati al fianco del capitano sforzesco al momento di una fra le sue più celebri vittorie: la battaglia di Caravaggio (15 settembre 1448).
Durante la breve alleanza del 1449 Francesco Sforza Visconti ha addirittura fidanzato una delle proprie figlie, Drusiana (1437-1474), con lo stesso Jacopo Piccinino. Tuttavia, la ripresa delle ostilità ha fatto allontanare la possibilità del matrimonio fra i due, lasciando la condizione di Drusiana in sospeso.
Dopo la conquista sforzesca di Milano Jacopo Piccinino passa al servizio della Repubblica di Venezia (maggio 1453), diventando capitàno generale delle armate marciane. Dopo poche settimane la situazione militare cambia radicalmente, a vantaggio degli Sforza.
Il capolavoro diplomatico del duca arriva nella primavera del 1454. Il sovrano sfrutta la stanchezza déi contendenti (in guerra ormai da molti anni), fa leva su minacce esterne (per esempio, la conquista ottomana di Costantinopoli, nel maggio 1453) e punta sul desiderio diffuso che nessuna delle singole parti in lotta egemonizzi le altre: di concerto con il suo più grande alleato e finanziatore, il banchiere Cosimo de’ Medici (detto il Vecchio, 1389-1464), signore de facto di Firenze, avvia una serie di trattative che culminano nella Pace di Lodi (9 aprile) e nella Lega Italica (30 agosto 1454).
Francesco riesce a stabilire un equilibrio politico e militare da cui trae un grande vantaggio: il riconoscimento della propria sovranità su Milano, il consolidamento del prestigio personale come principe e statista, nonché una relativa tranquillità che gli consente di recuperare risorse finanziarie (di cui è in cronico deficit ma di cui ha bisogno per risanare lo stato milanese).
Oltre a quello finanziario, un altro aspetto critico sono le condizioni di salute di Francesco. Afflitto dalla gotta e dagli edemi, ha numerose crisi che nel biennio 1461-1462 fanno temere per la conservazione del suo dominio.
Ad aggravare la situazione concorrono anche i dispiaceri causàti da una rivolta nel contado di Piacenza (gennaio-luglio 1462) e dall’atteggiamento ambiguo o cospirante di alcuni importanti collaboratori, contigui ai Piccinino e ai lori sostenitori (numerosi néi feudi padani già appartenuti al casato umbro e confiscàti da Francesco).
Jacopo non è assoggettabile agli accordi del 1454 e, perciò, rappresenta un pericolo che il duca non può permettersi di sottovalutare. Non basta che nell’autunno 1456 il venturiero braccesco sia stato assunto al servizio del re di Napoli Alfonso d’Aragona (detto il Magnanimo, 1396-1458): il condottiero braccesco dispone di un cospicuo esercito personale e, soprattutto, di una fitta rete di seguaci.
L’esponente di casa Piccinino è un uomo potente ma senza un dominio: un elemento di potenziale destabilizzazione per il sovrano milanese. Francesco non solo deve conservare il proprio ducato ma anche garantire un equilibrio all’intera compagine politica italiana. Uno status che l’ormai ex condottiero ha faticosamente costruito e che non vuol vedere distrutto.
Jacopo diviene così una minaccia da eliminare con urgenza. Questo pensiero accomuna Francesco Sforza Visconti con il re Ferdinando I di Napoli (detto don Ferrante, 1424-1494), figlio e successore di Alfonso II d’Aragona.
Turbano molto il monarca campano le lotte ormai pluriennali con il casato rivale degli Angiò (nello specifico, con il duca di Lorena Giovanni II, 1424-1470), che si intrecciano con la riottosità e le velleità di molti suoi feudatarî: vassalli solo formalmente sottomessi al re, che sono spesso infidi, irrequieti, anarcoidi e avversi all’autorità aragonese, e che considerano la forza di Jacopo Piccinino un valido sostegno per le loro mire autonomistiche.
Dal 1460 al 1462 il condottiero braccesco comanda le truppe filoangioine della prima Congiura dei Baroni (1459-1465), capeggiata dal principe pugliese Giovanni Antonio Orsini Del Balzo (1401-1463) proprio contro re Ferdinando.
Una pesante sconfitta subita nella Battaglia di Troia (18 agosto 1462) costringe Jacopo Piccinino a riappacificarsi sia con Francesco Sforza Visconti sia con Ferdinando d’Aragona (agosto-settembre 1463).
Trattando, riceve la carica di viceré degli Abruzzi, un’ingente somma di denaro, il controllo di Atessa, Bucchianico, Caramanico, Città Sant’Angelo, Francavilla al Mare, Guardiagrele, Penne, Sulmona, Villamaina, Caramanico Terme e varî centri abruzzesi, la restituzione déi feudi padani (già occupàti o fatti confiscare da Francesco Sforza Visconti con la conquista di Milano), nonché la possibilità di sposare la fidanzata Drusiana, ottenendo una cospicua dote.
Il 12 agosto 1464 Jacopo giunge a Milano dall’Abruzzo. Il giorno seguente lui e Drusiana finalmente possono unirsi in matrimonio. Il destino dello sposo è tuttavia segnato.
Già dal 1459 il duca Francesco ha proposto a Ferdinando di eliminare Jacopo Piccinino ma senza successo. Dopo essere stato costretto ad affrontare la spedizione angioina capitanata dal venturiero braccesco, il re di Napoli ha cambiato parere e ha accordato il proprio sostegno alla cospirazione.
La conquista di Genova da parte di Francesco Sforza Visconti (aprile 1464) e le morti di due importanti attori del panorama politico italiano, Cosimo de’ Medici e il pontefice Pio II (al secolo Enea Silvio Piccolomini, 1405-1464), avvenute il 1º e il 14 agosto 1464, accelerano l’esecuzione del piano.
Il duca affida la regìa del complotto al suo più abile e fidato consigliere, il calabrese Cicco Simonetta (1410-1480). Come collegamento fra la Lombardia e la Campania i sovrani scelgono il napoletano Antonio Cicinello (?-1485), notabile gradito presso entrambe le corti. Anche grazie all’estrema competenza di Cicco nella materia, i congiuràti fanno ampio uso di lettere cifrate: messaggî che spesso vengono distrutti con il fuoco sùbito dopo essere stati decodificàti e letti.
Nella primavera del 1465 Francesco convince Jacopo a raggiungere Napoli. Qui il re aragonese sta affrontando la resistenza di Ischia e del Castel dell’Ovo, ancóra in mano angioina, servendosi anche dell’aiuto del fratello del duca, il condottiero e signore di Pesaro Alessandro Sforza (1409-1473).
Nonostante i numerosissimi ammonimenti ricevuti da amici e sostenitori, il capitàno braccesco parte da Milano il 27 aprile 1465 e giunge a Napoli il 4 giugno seguente, accolto con apparente benevolenza da Ferdinando.
Pochissime persone alla corte partenopea sono al corrente della cospirazione e anche il trattamento che il monarca riserva al condottiero non lascia trapelare nulla. Addirittura, durante la sua permanenza, Ferdinando lo invita a ispezionare insieme i dintorni di Ischia in barca: in quell’occasione il re ordina espressamente che sull’imbarcazione non vi sia altra scorta oltre ai due rispettivi segretarî e ai marinaî.
La trappola scatta il 24 giugno, dopo i vespri. Con il pretesto di discutere alcune questioni, Jacopo è convocato dal sovrano nel Castel Nuovo: rimasto in una sala senza i suoi accompagnatori, è catturato e incarcerato nella stessa fortezza.
Dopo la vittoria della flotta aragonese su quella angioina nella battaglia navale di Ischia e la conquista dell’isola (6-7 luglio 1465), Ferdinando fa spargere la falsa voce che il condottiero sia deceduto a causa di una caduta accidentale. Fra le mura del Maschio Angioino Jacopo muore la sera del 12 luglio 1465, probabilmente dopo essere stato torturato. La sepoltura del corpo avviene con discrezione, a cura del castellano della fortezza: forse presso lo stesso Castel Nuovo o nel vicino complesso di Santa Maria la Nova.
Come concordato con Ferdinando, il duca Francesco proclama per iscritto alle corti italiane la sua indignazione contro il re di Napoli per la sòrte del genero.
Due settimane più tardi Drusiana partorisce il figlio Giacomo (1465-?), che aspetta dal marito ormai defunto. Pur protetto dalla duchessa Bianca Maria, il bambino (il «figliolino») non è benvoluto alla corte milanese: emblema vivente dell’irriducibile rivalità tra Sforza e Piccinino.
Francesco Sforza Visconti muore l’8 marzo 1466 per un edema. La moglie Bianca gli sopravvive per due anni: la sua vita termina il 23 ottobre 1468, forse a causa di un avvelenamento ordinato dal figlio primogenito Galeazzo Maria (1444-1476). Dopo il decesso della matrigna, Drusiana si ritira in un convento agostiniano, quindi fugge presso il fratello Sforza Secondo (1433-1492/1493): il 29 giugno 1474 un ictus le è fatale. Giacomo Piccinino scompare dai documenti già alla fine del 1465: il suo destino è ignoto.
Luogo:
provincia di Cremona (Lombardia)
Date:
31 agosto 2019 e 26 agosto 2023
Facebook:
napoli1465
E-mail (Davide Tansini):
e v e n t i @ t a n s i n i . i t
Telefono (Davide Tansini):
(+39) 3 4 9 2 2 0 3 6 9 3
Note:
l’evento è stato ideato e condotto da Davide Tansini, che detiene la paternità creativa dello spettacolo e tutti i relativi diritti; i contenuti illustràti da Davide Tansini al pubblico durante la manifestazione sono basàti sugli esiti delle sue ricerche in àmbito storico; Napoli 1465: la vendetta del condottiero non è stata una rievocazione storica con personaggî in costume e animali
© Davide Tansini: tutti i diritti riservàti – Pubblicato il 16 agosto 2019 – Aggiornato al 28 ottobre 2024