Da condottiero a principe: l’avventura di un personaggio che costruì la propria fortuna e conquistò il potere fra guerre, alleanze, tradimenti, passioni e intrighi nell’Italia del tardo Medioevo e del Rinascimento.
Un racconto dalla trama ricca e coinvolgente: è stato questo il programma di Francesco Sforza: l’impresa del potere, lo spettacolo di narrazione storica che è si svolto in Toscana e in Lombardia nel biennio 2015-2016 e nel 2019.
Protagonista del racconto è stato Francesco Sforza Visconti (1401-1466): condottiero, duca di Milano e signore di Genova.
Narratore è stato Davide Tansini. Basandosi sull’esito déi proprî studî, Tansini ha ricostruito la biografia del capitàno sforzesco: carattere e azioni che a distanza di quasi mezzo millennio continuano a conservare lo straordinario carisma del personaggio, divenuto un emblema del Rinascimento italiano.
Lo spettacolo non si è limitato agli episodî più o meno gloriosi, cupi, divertenti o salaci vissuti da Francesco Sforza Visconti: il filo conduttore della narrazione è stato l’insieme déi sistemi, delle occasioni e déi personaggî grazie ai quali il condottiero acquisì, mantenne e sviluppò il proprio potere.
Con stile colloquiale, affabile, a tratti ironico (ma rispettoso déi dati storico-scientifici), Tansini ha messo in luce l’attualità di questo personaggio: un condottiero fra tardo Medioevo e Rinascimento, vissuto parecchî secoli fa, ma che ha molto in comune con la moderna figura dell’imprenditore.
Il racconto di Davide Tansini ha tratteggiato ad ampio respiro un periodo storico e l’eredità che ha lasciato: arte, curiosità, economia, personaggî, società, tradizioni e usi (in Toscana, in Lombardia e nel Centro-Nord Italia).
In questo spettacolo ispirato al teatro di narrazione sono state descritte le antiche vicende politiche, con il loro immancabile séguito di speranze e delusioni; le personalità più in vista dell’epoca, veri e proprî VIP fra Medioevo e Rinascimento; le questioni maggiormente sentite e dibattute, come le tasse (tema sempre d’attualità) e i timori per un futuro incerto. Difficile non ritrovare anche nell’attuale vita quotidiana punti comuni con questo passato soltanto in apparenza lontano.
Presentata in forma sia dinamica (lungo percorsi guidàti a tappe) sia statica (con il pubblico accomodato in platea), la narrazione storica Francesco Sforza: l’impresa del potere è stata un’occasione vivace e coinvolgente per conoscere e rivivere la storia.
Figlio illegittimo del capitàno di ventura romagnolo Giacomo “Muzio” Attendolo (1369-1424), Francesco intraprese giovanissimo il mestiere delle armi al fianco del padre, dal quale ereditò il nome di guerra: “Sforza”.
Abile sui campi di battaglia tanto quanto sui tavoli della diplomazia, tra il 1419 e il 1449 Francesco Sforza prestò servizio per i principali sovrani della Penisola, costruendo un complesso sistema di rapporti personali, finanziarî, militari e politici che nel 1450 lo portò a coronare l’ambizione di tutta una vita: diventare duca di Milano, potente fra i potenti dell’Italia.
Un personaggio unico: intelligente, combattivo, astuto, ambizioso, brillante; non esente da debolezze: vanità, tracotanza, donne (tante costellarono la sua vita); osteggiato da potenti nemici e da alleàti-rivali (il duca di Milano Filippo Maria Visconti, la Repubblica di Venezia, il Pontefice Romano, il Re di Napoli, i condottieri Piccinino); ostinato nel raggiungere i proprî obiettivi: la posizione sociale, il Ducato di Milano, il potere.
La figura di Francesco ha molto in comune con quella di un moderno capitàno d’impresa (appunto, l’impresa del potere). Con tutti gli elementi che caratterizzano gli investimenti: capitali da far fruttare (armi e soldati, ma anche coraggio, determinazione, prestigio); opportunità da cogliere (guerre, ingaggî, feudi); rischî da affrontare (sconfitte, tradimenti, attentàti); collaboratori da reclutare (comandanti, ambasciatori, spie, “faccendieri”); profitti da ottenere (potere e prestigio).
Scommessa vincente, quella di Francesco. Una scommessa vinta raggiungendo le tappe di un lungo percorso, una dopo l’altra: nel 1425 l’ingaggio da parte del duca di Milano; nel 1441 il matrimonio con Bianca Maria Visconti (1425-1468), ultima discendente del casato ducale milanese; nel 1450 la proclamazione a duca di Milano; nel 1454 la Pace di Lodi e la Lega Italica, che lo consacrarono artefice e arbitro della relativa stabilità politica durata sino alla fine del XV secolo.
Oltre a Milano, tante le città in Italia e Svizzera di cui Francesco Sforza Visconti riuscì a ottenere il dominio: da Genova ad Ancona, da Alessandria a Teramo, da Parma a Novara, spaziando dal Piemonte (Novara, Tortona), dall’Emilia-Romagna (Borgo San Donnino ossia l’odierna Fidenza, Bobbio, Piacenza) e dalla Lombardia (Como, Lodi, Pavia) fino al Ticino (Bellinzona, Locarno, Lugano), alla Liguria (Chiavari, La Spezia, Noli, Savona, Ventimiglia) e alla Toscana (Carrara, Pontremoli); senza contare le molte zone della Penisola in cui operò come condottiero.
Nato a San Miniato (Pisa) il 23 luglio 1401 da Lucia Terzani (1380-1461), Francesco è uno déi numerosi figlî illegittimi del capitàno di ventura Giacomo “Muzio” Attendolo, detto “Sforza” (1369-1424), originario di Cotignola (Ravenna).
Trascorre l’infanzia tra Firenze e Ferrara, e nel 1412 è inviato dal padre nel Regno di Napoli, dove riceve l’investitura a cavaliere e a Conte di Tricarico (Matera). Nel 1418 sposa Polissena Ruffo (1400-1420), che gli porta in dote diverse terre calabresi. La moglie muore due anni più tardi, forse avvelenata da uno zio, poco dopo la scomparsa dell’unica figlia della coppia.
Nel frattempo, seguendo il padre, Francesco si è posto al servizio di papa Martino V (1368-1431) e fino al 1424 combatte nell’Italia centro-meridionale sui varî fronti che vengono creandosi a séguito déi repentini mutamenti di alleanze che coinvolgono il pontefice romano, il casato d’Aragona e quello d’Anjou.
Abile a destreggiarsi sul campo di battaglia e a cogliere le occasioni, il giovane capitàno entra in contatto con la corte di Milano nel 1424, presentato al duca Filippo Maria (1392-1447) dal condottiero Guido Torelli (1379-1449).
L’anno seguente entra al servizio visconteo: è il periodo in cui il sovrano milanese sta ultimando la riconquista di numerosi territorî già dominio di suo padre Gian Galeazzo (1351-1402), primo duca di Milano: una compagine molto vasta (estesa dal Piemonte al Veneto, dal Ticino e dal Trentino all’Umbria e alla Toscana) ma rapidamente disgregatasi alla morte di Gian Galeazzo stesso.
Al momento dell’ingaggio di Francesco il Ducato di Filippo Maria ha raggiunto la sua massima estensione: buona parte della Lombardia, Ticino, Piemonte orientale, Emilia settentrionale, parte della Romagna, oltre alla Repubblica di Genova. Dal 1423 il Ducato di Milano è impegnato in una serie di guerre contro molti avversarî (primi fra tutti, le repubbliche di Venezia e di Firenze) e Filippo Maria impiega i servigî di Francesco su più fronti.
Nel 1426 partecipa alla difesa di Brescia contro l’assedio condotto dalle truppe veneziane e l’anno seguente è fra i pochi capitani milanesi che riescono a evitare la cattura alla battaglia di Maclodio (Brescia), dove l’esercito della Serenissima agli ordini dell’ex comandante visconteo Francesco Bussone detto “Conte Carmagnola” (1385-1432) debella quasi completamente l’intera armata ducale.
Poco dopo Filippo Maria ordina alla compagnia di Francesco di reprimere una rivolta a Genova. La missione fallisce e il condottiero è relegato dal duca a Mortara (Pavia), lasciandolo senza stipendio per quasi due anni.
In séguito, Francesco trasferisce le proprie truppe nell’Italia centrale, combattendo prima contro gli alleàti della Repubblica fiorentina, poi contro il pontefice Eugenio IV (1383-1447).
Qui riesce a costituire un cospicuo dominio personale comprendente esteso negli odierni territori marchigiani e abruzzesi di Ancona, Ascoli Piceno, Fermo, Macerata e Teramo: fra le località della sua signoria sono comprese Ascoli, Cingoli, Fabriano, Fermo, Jesi, Macerata, Osimo, Recanati, Teramo, Tolentino e Urbisaglia, mentre la città di Ancona gli si riconosce tributaria.
La convivenza tra Francesco e Filippo Maria non è facile: ambizioso, sicuro di sé e brillante è il primo quanto cupo, lunatico e sospettoso è il secondo. Dagli Anni Trenta sorgono contrasti che sfociano in aperte opposizioni e voltafaccia. Entrambi i contendenti tentano di avvantaggiarsi del fatto che il duca non abbia successori: l’unica figlia Bianca Maria (1425-1468), avuta dalla nobildonna Agnese del Maino (morta nel 1465) è illegittima e non può aspirare al trono.
L’ambizione di Francesco diventa il Ducato stesso; invece, Filippo Maria cerca di influenzare e manovrare il condottiero ricorrendo a ripetute promesse, allusioni e ripensamenti sul matrimonio della figlia.
Nel 1432 e nel 1438 il duca ratifica al condottiero il fidanzamento con Bianca Maria; le nozze, invece, sono più volte rimandate a causa delle guerre e delle reciproche diffidenze tra i due. Soltanto nel 1441, pressato dall’andamento poco favorevole delle proprie azioni politiche e militari (nel 1426 ha perso Brescia, nel 1427 Vercelli, nel 1428 Bergamo, nel 1431 ha conquistato il Pontremolese ma cinque anni dopo ha perso Genova), Filippo Maria concede la mano della figlia a Francesco.
La dote che perviene al condottiero è consistente: il Cremonese, il Pontremolese, il titolo di conte e il privilegio di fregiarsi del cognome Visconti (da allora si firma Francesco Sforza Visconti).
Filippo Maria muore nell’agosto 1447. Pur avendo garantito sopravvivenza e spazî politici al Ducato milanese, il sovrano lascia un’eredità onerosa: oltre un ventennio di guerra più o meno guerreggiata, la perdita di numerosi territorî, le casse ducali prosciugate dalle campagne militari, l’esercito veneziano quasi alle porte della stessa Milano, la mancanza di chiare indicazioni sulla successione al trono.
La situazione è così esasperata che néi giorni immediatamente successivi alla morte del duca parecchie città del dominio visconteo si separano da questo consegnandosi alla Signoria di Venezia o proclamandosi repubbliche. Anche a Milano se ne costituisce una: l’Aurea Repubblica Ambrosiana, decisa a raccogliere l’eredità politica di Filippo Maria accantonando il passato ducale.
I maggiorenti del nuovo regime propongono a Francesco Sforza Visconti di diventare capitàno generale della Repubblica milanese: vogliono non soltanto servirsi delle sue capacità militari per proseguire la guerra contro Venezia, ma anche tenere sotto controllo la sua ambizione di succedere ai Visconti e nello stesso tempo evitare che la Serenissima lo ingaggi.
Lo stato ambrosiano è debole, tuttavia Francesco non ha forze politiche e militari sufficienti per marciare su Milano, debellare la Repubblica e contemporaneamente tenere a bada l’esercito veneziano: dal 1443 è stato impegnato in una serie di campagne poco brillanti in Abruzzo, nelle Marche e in Lombardia, ancóra contro le truppe del defunto duca e del pontefice.
Queste lotte hanno portato alla perdita di tutti i domini sforzeschi dell’Italia centrale (esclusa Cotignola). Francesco ha urgente necessità di restaurare il proprio prestigio politico e militare: così, accetta il capitanato ambrosiano.
Nel settembre successivo il conte inizia una serie di vittoriose operazioni militari che portano al ripiegamento dell’esercito veneziano e alla riconquista di varî territorî: Pavia (incamerata come dominio personale), Piacenza, Tortona (Alessandria) e buona parte della Geradadda. La serie culmina nel settembre 1448 con la battaglia di Caravaggio, dove riesce a catturare quasi tutta l’armata veneziana operante in Lombardia.
A questo punto la Repubblica Ambrosiana ritiene siano maturi i tempi per trattare la pace: la Serenissima è in difficoltà e il crescente successo personale di Francesco Sforza Visconti può diventare un pericolo per la sicurezza del regime repubblicano. Le trattative con Venezia sono intavolate in segreto, ma Francesco ne viene a conoscenza e decide di battere sul tempo il governo milanese.
Il Trattato di Rivoltella dell’ottobre 1448 sancisce il passaggio di Francesco alla Signoria di Venezia che lo incarica di condurre le operazioni contro la Repubblica Ambrosiana.
Il cambio di schieramento non interrompe i progressi del condottiero che riesce a conquistare Piacenza, il Varesotto, parte del Milanese, Novara, Lecco, Parma, Vigevano (Pavia), Alessandria, Tortona, Lodi. Non li interrompe neppure l’irriducibile ostilità déi condottieri Piccinino, nemici giuràti del condottiero sforzesco. E neanche l’intervento del duca Ludovico di Savoia (1413-1465) a favore del regime ambrosiano e il voltafaccia della stessa Repubblica di Venezia, che nel settembre 1449 riceve la dedizione di Crema (Cremona) e sigla la pace con lo stato ambrosiano contro il condottiero.
Supportata da pochi e sparuti presidî, stretta dalle truppe sforzesche e ridotta alla fame, Milano apre le porte al condottiero nel febbraio 1450: l’Aurea Repubblica Ambrosiana si dissolve.
Il successivo 25 marzo Francesco Sforza Visconti è proclamato nuovo duca di Milano, in continuità con la dinastia viscontea. Ma non tutti gli stati sono disposti a riconoscere il suo dominio: molti lo considerano un sovrano illegittimo o un parvenu, comunque una minaccia per l’ordine politico.
Il nuovo sovrano procede alla ricostruzione del suo stato. I problemi che incontra sono enormi: penuria cronica di denaro, assenza di ufficiali, occupazione di molti territorî da parte degli avversarî, scarsità di truppe e armamenti.
Ciononostante, il duca riesce ad affrontare le difficoltà, facendo leva sull’alleanza con Cosimo de’ Medici (1389-1364), signore de facto di Firenze, e sul supporto di numerosi collaboratori: per esempio, il segretario calabrese Francesco “Cicco” Simonetta (1410-1480), suo braccio destro, e l’ambasciatore pontremolese Nicodemo Tranchedini (1413-1481).
Dopo due anni circa di tregua, nel 1452 la Repubblica di Venezia riprende le ostilità contro Francesco Sforza Visconti. Ad alcuni insuccessi iniziali il duca reagisce ribaltando la situazione e portando la guerra dentro al territorio della Serenissima.
Nel 1453 la caduta di Bisanzio in mano ottomana mette in allarme la Repubblica veneziana e papa Niccolò V (1397-1455), mentre il protrarsi indefinito di una guerra ormai pluridecennale ha fiaccato la resistenza di tutti i contendenti.
Sono maturi i tempi per la fine del conflitto, di cui si fa artefice lo stesso Francesco. Nell’aprile 1454, con la Pace di Lodi, egli ottiene il suo più grande successo diplomatico: il Regno di Napoli, i ducati di Milano e di Savoia, i marchesati di Mantova e del Monferrato, nonché le repubbliche di Firenze, Genova e Venezia, firmano un trattato che, con la successiva Lega Italica, garantisce l’equilibrio di potere nella Penisola e un quarantennio di relativa stabilità politica.
Riconosciuto a livello “internazionale” e divenuto arbitro della situazione, Francesco prosegue a sistemare il Ducato milanese: la ricostruzione del Castello di Porta Giovia, la prosecuzione déi lavori al Duomo e la costruzione della Ca’ Granda (Ospedale Maggiore) sono soltanto alcune fra le opere che fa erigere a Milano.
Nel 1464 sigla un accordo con il Re di Francia che gli consente di ottenere la signoria sulla Repubblica di Genova. L’anno seguente fa eliminare a Napoli il genero Jacopo Piccinino (1423-1465), marito della figlia Drusiana (1437-1474) e ultimo esponente della dinastia di condottieri che per decenni gli si è ferocemente opposta.
Francesco Sforza Visconti muore a Milano l’8 marzo 1466, lasciando il ducato al primogenito Galeazzo Maria (1444-1476). Il suo corpo è sepolto nel Duomo milanese. Nel XVI secolo la sua tomba è rimossa per ordine del cardinale Carlo Borromeo e successivamente i suoi resti vanno dispersi.
Fra la sua discendenza, oltre a Galeazzo Maria, figurano il figlio Ludovico Maria detto “il Moro” (1452-1508), anch’egli Duca di Milano, la nipote Caterina detta la “Tigre di Forlì” (1463-1509), figlia di Galeazzo Maria, e il figlio di Caterina Giovanni de’ Medici detto “dalle Bande Nere” (1498-1526), condottiero, a sua volta padre di Cosimo I (1519-1574), secondo duca di Firenze e primo granduca di Toscana.
Luoghi:
Bagnone (Massa-Carrara, Toscana – Lunigiana, Italia), Palazzo del Consiglio/Museo Archivio della Memoria (Piazza Roma, 11)
provincia di Cremona (Lombardia – Italia), sponda orientale del fiume Adda
Date:
27 giugno 2015 (a Bagnone)
9 luglio 2016 e 18 maggio 2019 (in provincia di Cremona)
Ente organizzatore:
Museo Archivio della Memoria, in collaborazione con la Rete Provinciale delle Biblioteche e degli Archivi Storici di Massa e Carrara, con la Biblioteca Civica «Giovan Battista Cartegni» di Bagnone e con la la Rete museale «Terre dei Malaspina e delle Statue Stele» (a Bagnone)
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Note:
gli eventi sono stati ideàti e condotti da Davide Tansini, che detiene la paternità creativa dello spettacolo e tutti i relativi diritti; i contenuti illustràti da Davide Tansini al pubblico durante le manifestazioni sono basàti sugli esiti delle sue ricerche in àmbito storico-architettonico; Francesco Sforza: l’impresa del potere non è una rievocazione storica con personaggî in costume e animali
© Davide Tansini: tutti i diritti riservàti – Pubblicato il 19 giugno 2015 – Aggiornato al 28 ottobre 2024